Per non avere un’altra storia mancata

Preghiera per Svjatlana Aleksievič, o perché leggere di Černobyl’ durante questa pandemia

agnese baini
5 min readApr 26, 2020

Durante questa quarantena ho abbandonato crudelmente alcuni libri dopo la prima pagina, ma altri sono stati finiti in una sola giornata. Tra questi c’è Preghiera per Černobyl’ di Svjatlana Aleksievič. Scritto nel 1997 e tradotto da Sergio Rapetti per edizioni e/o nel 2002. L’autrice nel discorso di premiazione per il Nobel per la Letteratura ci dice:

Per lungo tempo ho resistito a scrivere su Černobyl’. Non sapevo come scriverne, quali strumenti usare, come approcciarmi al discorso. Il mondo non aveva quasi mai sentito parlare del mio piccolo paese, nascosto in un angolo dell’Europa, ma ora il suo nome è sulla bocca di tutti. Noi, gli abitanti della Bielorussia, siamo diventati gli abitanti di Černobyl’. I primi a incontrare qualcosa di sconosciuto.

Questo mio testo parte da là, da Černobyl’, anche se ci sembra lontanissimo. Perché leggendo il libro in queste lunghe e vuote giornate ho pensato che stiamo vivendo anche ora qualcosa di simile: un evento sconosciuto di cui potremmo non avere gli strumenti per raccontarlo.

[Fotografie di Igor Kostin]

Il libro incomincia e finisce con due voci solitarie: due donne e il loro amore. E nel mezzo si trovano tantissime interviste, una raccolta di voci di persone che hanno visto, hanno toccato, hanno ascoltato Černobyl’, lo hanno pure mangiato. Il libro si compone così di questi punti di vista, molto particolari, molto genuini. Anche la voce dell’autrice rientra nel libro, lo fa intervistando se stessa per spiegare a noi che leggiamo che cosa ci aspetta:

[Fotografie di Igor Kostin]

La prima cosa che mi ha colpito è che stiamo vivendo qualcosa di incomprensibile, di dimensioni mai viste. Così come Černobyl’ è stato il primo incidente nucleare, qualcosa di altrettanto sconosciuto. Le radiazioni, invisibili, entravano nei corpi, generavano malattie, portavano alla morte -il più delle volte in forme brutali. Anche questo virus è qualcosa di invisibile che vola nell’aria, che si deposita sulle maniglie, sulle banconote per poi continuare a volare fino a quando non ci tocca e, a quel punto, possiamo essere spacciati.

Come credere a qualcosa di incomprensibile? Per quanto ti sforzi, per quanto ce la metti tutta, non riesci comunque a capire. Quel che ricordo: noi partivamo e il cielo era di un azzurro intenso

[Fotografie di Igor Kostin]

Mentre si legge il libro, appaiono tante piccole immagini che collegano il testo alla realtà di queste giornate: le code di persone, per esempio. O la voglia di uscire, perché il mondo fuori non sembra essere pericoloso: il cielo è azzurro, sono arrivate le rondini, gli alberi iniziano a fiorire. Dove sono le radiazioni? Dov'è il virus? Davvero non si possono mangiare le verdure dell’orto e raccogliere i frutti dalle piante?

[Fotografie di Igor Kostin]

Un’espressione che ritorna è zona rossa: l’azione del delimitare un territorio e limitare la libertà di chi vive in quel territorio. E poi le piccole disubbidienze rispetto a queste delimitazioni, non tanto rispetto a un territorio che si riconosce ma rispetto a chi ordina di allontanarsi dalle proprie case, dai propri affetti, dai propri orti senza spiegare. Tante parole del libro risuonano anche in questi giorni: è il lessico della guerra, sono le metafore del nemico che ci invade e che dobbiamo sconfiggere, sono le allusioni agli eroi, alle trincee, alle prime linee.

[Fotografie di Igor Kostin]

Così come allora, tendiamo a non avere fiducia in ciò che ci viene detto. Mancano delle parole rassicuranti, dei progetti, delle conoscenze. Si cambiano disposizioni troppo spesso. Siamo messi a confronto con la precarietà delle nostre esistenze, basta davvero poco per morire. Si nascondono le responsabilità, perché ci sono delle responsabilità nei confronti di chi sta morendo -per esempio, dentro istituzioni totali.

Chissà quanti documenti sono andati distrutti! Quante testimonianze! Perdute per la scienza. E per la storia. Bisognerebbe trovare quelli che hanno ordinato di agire in questo modo… Che cosa si inventerebbero, oggi? Come si giustificherebbero?

[Fotografie di Igor Kostin]

Ho provato a raccogliere una testimonianza. Mi sembrava un esercizio gentile provare ad allargare le voci di questa preghiera. E mi ricorda come le nostre testimonianze, delle nostre semplici vite, diventeranno elementi fondamentali per comprendere quello che stiamo vivendo ora.

[Fotografie di Igor Kostin]

Ultima nota: ho amato i titoli dei monologhi. Vi consiglio, finito il libro, di sfogliarlo per leggere solo questi titoli.

Grazie a Marta per avermi donato la sua voce e grazie a Pantxo per avermi spedito la sua, a distanza. Grazie a Patrizia e Giuseppe [i miei genitori] per aver accettato di condividere i loro ricordi di quelle giornate. Grazie a Chiara e a Matteo per aver dato l’imprimatur -ma mi dicono di sottolineare che tutte le responsabilità di ciò che c’è scritto sono mie! Alcune delle storie raccolte nel libro rientrano nella serie Chernobyl di HBO; ve la consiglio. Il fotoreporter Igor Kostin si è recato a Černobyl’ nei giorni successivi al disastro; le fotografie scattate sono immagini davvero potenti.

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agnese baini

Leggo libri, scrivo articoli, registro podcast e, soprattutto, passo il tempo a bagnare piante.